mal di denti da parodontite apicale acuta

Parodontite apicale acuta, di cosa si tratta e come si può salvare il dente

La parodontite apicale acuta è una dolora infezione del parodonto che può causare mal di denti, arrossamento delle gengive (e anche sanguinamento) e mobilità dentale. Di solito, è causata da una carie profonda non curata. Il trattamento fondamentale contro la parodontite periapicale acuta è la devitalizzazione del dente.

Il parodonto, cioè l’insieme di quei tessuti (gengive comprese) che tengono fermi e saldi i denti, è un elemento fondamentale nel quadro della salute della bocca. Allo stesso tempo, però, è anche facilmente soggetto di patologie che, oltre ad essere molto dolorose, possono metter a repentaglio la sopravvivenza dei denti.  Tra questi disturbi, rientra la parodontite apicale acuta (da non confondersi con la parodontite propriamente detta). Proprio la gravità di questa malattia dentale rene opportuno approfondire le caratteristiche, i sintomi e i possibili trattamenti. Il tutto partendo da una sua corretta definizione.

Cos’è la parodontite apicale acuta e quali sono le cause

La prima domanda a cui rispondere quindi è la seguente: cosa si intende per parodontite apicale acuta? Da un punto di vista medico, si tratta di

un’infiammazione del parodonto (tessuti periapicali), provocata dalla presenza di batteri attivi.

Per questa ragione, la parodontite apicale acuta è definibile come un disturbo endodontico, cioè che interessa la parte interna del dente, dove ha sede la polpa dentaria.

La causa più comune di questa patologia è una carie profonda non curata (o curata male) che provoca una pulpite da cui scaturisce ulteriormente la parodontite apicale acuta. In alternativa, il disturbo più essere una conseguenza di traumi ai denti o una complicanza di trattamenti endodontici complessi.

Infine, in sede di definizione della parodontite apicale acuta, è bene distinguerla dalla parodontite apicale cronica, le cui diverse manifestazioni sono meglio conosciute come granuloma dentale o cisti radicolare.

I sintomi della parodontite apicale acuta

I sintomi principali della parodontite apicale acuta sono:

Come si cura la parodontite apicale acuta: il trattamento endodontico e la devitalizzazione (h2)

Il trattamento di riferimento quando si tratta di curare una parodontite apicale acuta è quello endodontico, cioè la devitalizzazione del dente (cura canalare). In questo modo, grazie ad un approccio conservativo, si salva il dente rimuovendo completamente l’infiammazione. Il trattamento endodontico, svolto in modalità ambulatoriale e solitamente con anestesia locale, consiste nella rimozione completa della polpa dentaria infetta, per poi andare a disinfettare i canali e riempirli con materiale di sostegno.

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Denti con carie

Carie radicolare: cos'è, quali sono i sintomi e come si cura

La carie radicolare colpisce il dente al di sotto del livello della gengiva ed è molto frequente negli over 50. Una carie sotto gengiva manifesta con dolore, sensibilità dentale e cambio di colore dello smalto. Di solito, per curare una carie radicolare è necessario ricorrere alla devitalizzazione del dente.

Tra le patologie dei denti, la carie è senza dubbio tra le più diffuse e anche una di quelle che fanno più paura, perché mette a repentaglio salute e bellezza del sorriso, oltre a provocare molto dolore. Di carie dentali, però, ne esistono diverse tipologie e non tutte si manifestano con la stessa gravità. In questo articolo, viene approfondita la carie radicolare, analizzandone i tre aspetto fondamentali: caratteristiche, sintomi e possibili cure.

Cos’è una carie radicolare

Tutte le diverse forme di carie dei denti possono essere definite come infezioni, o meglio ancora come malattie degenerative dei tessuti duri del dente. I processi cariosi aggrediscono prima lo smalto, poi la dentina e, se trascurati, possono degenerare in ascesso, pulpite, ciste, granuloma, gengivite o piorrea. Anche la causa di ogni carie è sempre la stessa: la proliferazione di batteri orali, magari conseguenza di una scarsa igiene orale (ecco perché è importante lavare sempre bene i denti). Ciò che caratterizza la carie radicolare rispetto alle altre è che colpisce la porzione di dente che si trova sotto il livello della gengiva (ecco perché è anche detta carie subgengivale). Ed è proprio questa posizione particolare che la rende ostica e difficile da curare, anche perché poco visibile e veloce nel peggiorare. È bene sottolineare che la carie radicolare è molto frequente negli uomini e nelle donne con più di 50 anni, perché spesso associata ad una riduzione del flusso salivare che si traduce in un minor azione antibatterica della bocca.

I sintomi della carie sotto gengiva

I sintomi della carie radicolare sono in gran parte quelli tipici di tutte le altre forme cariose:

Come si cura una carie radicolare

Il trattamento più utilizzato per rimuovere la carie radicolare è senza dubbio la cura canalare (conosciuta anche come devitalizzazione). In sintesi, previa anestesia, il dentista pratica un’incisione sul dente in modo da poter accedere alla polpa dentaria infetta per rimuoverla. Successivamente, sostituisce la polpa con un composto biocompatibile e sigilla il dente. Può accadere, però, che nei casi più gravi, in cui magari siano incorse complicanze, la devitalizzazione non sia più una strada percorribile. In questo caso, l’odontoiatra dovrà procedere con apicectomia (cioè rimozione della radice dentale) o addirittura con l’estrazione del dente.


donna con mal di denti da granuloma

Granuloma dentale: cos’è, quali sintomi dà e come si cura

Il granuloma dentale è un’infiammazione che può avere manifestazioni molto dolorose e conseguenze negative anche serie. In questo approfondimento vengono passati in rassegna i temi principali legati al granuloma ai denti: definizione, tipologie, sintomi, cause, rischi e cure.

Cos’è il granuloma ai denti (e perché non c’entra nulla con il tumore)

Il granuloma dentale è un’infiammazione che si forma all’estremità apicale (cioè vicina a mascella o mandibola) della radice del dente stesso. Per questo motivo, è detto anche granuloma apicale. Le sue dimensioni dipendono dalla gravità dell’infiammazione. Il nome di questa patologia fa pensare a molti che si tratti di una forma tumorale (granuloma, infatti, a melanoma). E in effetti questa associazione si rivela corretta per alcune forme di granuloma non legate ai denti. Per fortuna, invece, per il granuloma dentale non è assolutamente così: non è un tumore. Questo però non significa che non si tratti di un disturbo serio che va affrontato per evitare che degeneri. A seconda di come evolve, infatti, il granuloma può mantenersi asintomatico (granuloma semplice) oppure provocare un ascesso dentale e poi cronicizzarsi.

I sintomi del granuloma dentale

Come anticipato, nello stadio iniziale o nelle forme più semplici, il granuloma può essere asintomatico. Nei casi più gravi o via via che l’infiammazione avanza, invece, posso comparire i seguenti sintomi:

Essendo sintomi molto generici, però, per una corretta diagnosi di granuloma è possibile che il dentista decida di procedere con una radiografia.

Le cause che possono provocare un granuloma

Una corretta diagnosi comporta anche la necessità di indagare le cause del granuloma dentale. In molti casi, trattandosi di un’infezione di origine batterica, ciò che provoca un granuloma è la scarsa igiene orale. Un motivo di più, quindi, per prendersi cura attentamente della pulizia dei denti: lavarli bene e con gli strumenti giusti (spazzolino, dentifricio e filo interdentale). Altre possibili ragioni alla base dell’infiammazione del dente sono una carie non curata oppure la frattura del dente.

Come si cura il granuloma dei denti

Che sia asintomatico o molto doloroso, è comunque necessario curare il granuloma. Trascurarlo, infatti, può portare a conseguenze anche molto serie, come si vedrà più avanti. Attendere sperando che sparisca da solo è sbagliato. Il granuloma, infatti, si riassorbe e sparisce solo se curato. Ecco perché è anche inutile chiedersi quando dura un granuloma, visto che può rimanere silente addirittura per anni. La risposta è banale: dura finché non si va dal dentista per il trattamento.

Ma in cosa consiste la terapia per il granuloma? Le opzioni sono diverse, è dipendono dalle caratteristiche dell’infiammazione e dal suo livello di gravità:

  • Cura antibiotica. Ha senso solamente nel trattamento delle fasi acute e solo come fase iniziale. In generale, infatti, gli antibiotici non sono efficace nei confronti di infiammazioni profonde come quella che caratterizza un granuloma.
  • Devitalizzazione. La cosiddetta cura canalare è la terapia d’elezione, perché consente di ripulire il dente dall’infezione. Nel caso di granuloma su dente già devitalizzato, si può optare per un ritrattamento canalare, laddove possibile.
  • Apicectomia. È un intervento chirurgico che prevede la rimozione dell’apice del dente (colpito da infezione) e l’otturazione della radice.
  • Estrazione del dente. È l’ultima opzione, da tenere in considerazione se tutte le possibilità precedentemente elencate risultano impraticabili.

Rischi e conseguenze di un granuloma non curato

Togliere il dente è una delle conseguenze negative a cui si può arrivare se non si cura tempestivamente un granuloma dentale. E non è un pericolo da poco, visto che la mancanza di un dente, se non rimpiazzato mediante protesi, può provocare malocclusione e quindi tutta una serie di disturbi a cascata, a cominciare dalla postura (ma anche mal di testa, acufeni, problemi di vista, eccetera).

Ci sono, però, ulteriori rischi e possibili complicazioni da tenere in considerazione, perché spesso anche più gravi di un’estrazione. L’infezione che caratterizza il granuloma, infatti, se trascurata, può estendersi ben oltre il limite del dente. Sfruttando un abbassamento delle difese immunitarie, infatti, i batteri possono penetrare nel sangue e raggiungere altre parti del corpo.


denti neonato

Denti da latte in anticipo: tutto quello che c’è da sapere sulla dentizione precoce dei neonati

I denti da latte del tuo bambino stanno spuntando prima del tempo? Non preoccuparti, la dentizione precoce nei neonati è un fenomeno più diffuso di quanto si pensi, può avere diverse cause e non è assolutamente spia di un problema grave. Basta tenere la situazione sotto controllo e non c’è nulla di cui un genitore deve preoccuparsi. Vediamo perché.

La dentizione nei neonati è un passaggio naturale e delicato, che spesso mette in ansia i genitori. Lo spuntare dei dentini da latte, infatti, può portare con sé numerosi fastidi per il bambino, come febbre e irritazione. Inoltre, molti neogenitori si trovano a domandarsi se i tempi siano quelli giusti o se la dentizione decidua del loro piccolo sia in anticipo o in ritardo. In questo articolo, ci occuperemo proprio della prima eventualità, cioè la dentizione precoce, mentre per l’altro caso, cioè i dentini in ritardo, è disponibile quest’altro approfondimento.

Una premessa: i tempi della dentizione nei bambini

Però, prima di affrontare la questione dei denti del neonato che spuntano troppo presto, è bene chiarire una cosa: i tempi della dentizione non sono scritti sulla pietra. Detto in altre parole, se è vero che i primi dentini (gli incisivi centrali inferiori) potrebbero cominciare ad affacciarsi intorno ai 3 mesi, è altrettanto vero che la situazione cambia da bambino a bambino. I neonati non sono tutti i uguali e la natura non fa le cose con il cronometro. In alcuni casi la dentizione può partire prima, in altri dopo. Addirittura, possono verificarsi situazioni in cui i dentini spuntano in ordine diverso da quello considerato normale. Quella dei medici e dei dentisti, quindi, deve essere presa come un’indicazione approssimativa e non come una legge inviolabile. Oscillazioni di alcune settimana nello spuntare dei denti da latte sono normali e in questi casi non vale neanche la pena parlare di anticipo o ritardo.

Leggi di più sul calendario della dentizione

Dentizione precoce nel neonato: i denti natali e neonatali

Alla luce della premessa fatta sui tempi della dentizione, è bene circoscrivere i casi in cui si può parlare davvero di denti precoci. Ad esempio, se sulle gengive di un neonato cominciano a vedersi gli incisivi centrali inferiori già a due mesi e mezzo, senza dubbio si può dire c’è un po’ di anticipo rispetto al previsto, ma è eccessivo parlare di dentizione precoce.

I veri denti precoci, invece, sono di due tipi:

  • denti natali: presenti già al momento della nascita;
  • denti neonatali: che spuntano nei primi 30 giorni di vita.

Ovviamente, si tratta di casi molto rari, nell’ordine di un neonato ogni mille nati. Su quali siano le cause della dentizione precoce, la medicina non si è ancora riuscita a esprimere in modo definitivo. Si è ipotizzato un carattere ereditario o un loro dipendere dalla presenza della gemma dentaria in posizione molto superficiale, quindi pronta per un’eruzione precoce.

Cosa fare con i denti da latte precoci

Di per sé, i denti natali e neonatali non sono un problema, anche perché nella maggior parte dei casi appartengono alla dentizione primaria. Può accadere, però, che tali denti diano vita a delle complicazioni, che possono essere di tre tipi:

  • sindrome di Riga – Fele: lo sfregamento dei denti sulla lingua durante la suzione provoca la comparsa di ulcere;
  • deficit di nutrizione: nell’allattamento, la presenza dei dentini da latte precoci può provocare dolore al seno alla madre e difficoltà nella suzione al neonato;
  • inalazione accidentale: i dentini precoci possono presentare estrema mobilità (perché senza radice) e quindi far correre al bambino il rischio di ingoiarli inavvertitamente.

Il compito di un genitore di fronte ad un caso di dentizione precoce, quindi, è quello di monitorare la situazione attraverso il supporto di uno specialista. Sarà quest’ultimo, infatti, a stabilire l’eventuale pericolosità dei denti natali o neonatali e a decidere di procedere con quella che, ad oggi, è l’unica soluzione possibile, cioè l’estrazione.

Come insegnare ai bambini a lavarsi i denti


Ascesso periapicale: cause, sintomi e cure

L’ascesso dentale periapicale è una patologia orale molto dolorosa e che può sfocare in complicazioni serie. Generalmente causata da una carie gravemente trascurata, questa tipologia di ascesso si manifesta con sintomi che minano la qualità della vita di chi ne soffre e necessita di un intervento medico tempestivo, che può sfociare nella devitalizzazione del dente o nella sua estrazione (oltre che nella somministrazione di antibiotici e antinfiammatori).

Avere a che fare con l’ascesso ad un dente è un’esperienza molto fastidiosa e complicata, che sarebbe meglio non sperimentare mai e che necessita sempre dell’intervento del proprio dentista di fiducia. Dolore, gonfiore e arrossamento sono solo i sintomi più evidenti dell’ascesso, che può accompagnarsi anche a disturbi più intensi. A seconda di quale sia la parte del dente colpita, l’ascesso si distingue in tre tipologie: gengivale, parodontale e periapicale. L’approfondimento che segue è dedicato proprio all’ascesso periapicale.

Leggi, invece, gli approfondimenti su ascesso gengivale e parodontale o quello sull’ascesso in generale

Cos’è l’ascesso periapicale

L’ascesso pariapicale si chiama così perché colpisce la parte apicale (cioè la sommità) della radice del dente e interessa a polpa dentaria, da dove poi si può espandere all’intera struttura. Questa tipologia di ascesso è conosciuta anche con il nome di pulpite complicata, perché caratteristica di denti affetti da infezione dei tessuti interni. Come nelle altre forme di ascesso, anche in questo caso l’infezione è di tipo batterico e porta alla formazione di pus, che può raccogliersi in una sacca visibile all’esterno. La presenza di batteri rende indispensabile l’intervento medico (con le modalità che si vedranno più avanti).

I sintomi dell’ascesso periapicale

Dal punto di vista dei sintomi con cui si manifesta, l’ascesso periapicale non si discosta particolarmente dalle altre forme di infezione dentale. La comparsa di un forte mal di denti, incontrollabile e pulsante, è sicuramente il primo segnale di allarme. L’ascesso senza dolore, infatti, è molto raro.

Altri sintomi sono:

  • gonfiore localizzato;
  • formazione di sacche di pus (che danno fastidio durante la masticazione);
  • sensibilità dentale;
  • arrossamento delle gengive;
  • alito pesante;
  • bocca amara.

Se trascurato, poi, l’ascesso periapicale può anche provocare ulteriori conseguenze, andando oltre i disturbi della bocca:

  • febbre;
  • mal di testa,
  • mal di gola;
  • ingrossamento dei linfonodi;
  • osteomielite;
  • trombosi del seno cavernoso;
  • setticemia.

Qui trovi tutti gli approfondimenti sulle malattie dei denti

Le cause dell’ascesso periapicale

La causa più comune dell’ascesso periapicale è la carie gravemente complicata, capace di provocare necrosi della polpa dentaria. Una carie può arrivare a questo stadio quando non diagnosticata in tempo e quindi trascurata. Da qui la necessità di periodici controlli dal dentista e di una corretta igiene orale. Allo stesso modo, anche se più raramente, l’ascesso periapicale può scaturire da traumi gravi ai denti, in grado sempre di mandare in necrosi la polpa.

Leggi di più sulla carie dentale

Come si cura l’ascesso periapicale

Di fronte alla necessità di curare un ascesso periapicale, i rimedi possibili si articolano in tre fasi consecutive. Inizialmente, il medico specialista provvederà a somministrare antibiotici (per combattere l’infezione) e antidolorifici (per alleviare il dolore sofferto dal paziente). Al contempo, è di fondamentale importanza, laddove presente, procedere al drenaggio del pus. Tutte questi interventi, però, si concentrano sui sintomi a senza risolvere il problema all’origine. Per far questo, è necessario procedere alla cura canalare (devitalizzazione del dente) o all’estrazione dello stesso.


ascesso al parodonto

Ascesso parodontale: dalle cause alla cura, tutto quello che bisogna sapere

L’ascesso parodontale è una tipologia di ascesso dentale molto dolorosa, che colpisce il parodonto. Oltre al fastidio che provoca, questa forma di ascesso va trattata tempestivamente perché può dar vita a complicanze serie. In questo approfondimento, si parla di che cos’è l’ascesso parodontale, quali sono i suoi sintomi, quali le cause e soprattutto i possibili rimedi.

Dolore, gonfiore, difficoltà a masticare. Purtroppo, chi ci è passato lo sa, avere a che fare con un ascesso dentale non è affatto un’esperienza piacevole. Affermazione quanto mai vera se ci si focalizza su una tipologia particolare di questa patologia, cioè l’ascesso parodontale (le altre due varianti sono l’ascesso gengivale e quello periapicale). In questo caso, infatti, la zona colpita dall’infezione batterica è ampia e molto sensibile; quindi, crea più problemi e necessita di un intervento medico tempestivo, per evitare spiacevoli complicazioni. Vista l’importanza del tema, però, è bene procedere con ordine, iniziando dalla definizione corretta di ascesso parodontale, per poi vederne i sintomi, le cause e i possibili rimedi.

Leggi anche l’approfondimento generale sull’ascesso dentale

Cos’è l’ascesso parodontale e quanto dura

L’ascesso parodontale si chiama così perché consiste in un’infezione batterica che colpisce il parodonto, cioè la struttura portante del dente, composta da gengiva, osso alveolare, cemento radicolare e legamenti. Tale aggressione batterica porta alla formazione di una sacca di pus (a volte collocata nella tasca parodontale) che ne rappresenta la manifestazione più visibile. La presenza di batteri rende indispensabile l’intervento medico (con le modalità che si vedranno più avanti). La tempestività di tale intervento incide molto anche sulla durata dell’ascesso parodontale, che, se correttamente affrontato, ha una fase acuta di circa 2-3 giorni e un decorso complessivo di circa una settimana.

I sintomi dell’ascesso del parodonto

Come ci si accorge se nella propria bocca è in corso un ascesso parodontale? Il sintomo principale e che si manifesta per primo è il dolore. Un mal di denti che ha caratteristiche specifiche, in quanto solitamente è molto forte, incontrollabile e ha un andamento pulsante. Solo in casi molto rari si può accusare un ascesso senza dolore.

Altri sintomi sono:

  • gonfiore localizzato;
  • formazione di pus;
  • aumentata sensibilità dentale;
  • arrossamento delle gengive;
  • alito pesante;
  • cattivo sapore in bocca.

Se trascurato, poi, l’ascesso parodontale può anche sfociare in disturbi ulteriori, causando febbre, forti mal di testa, mal di gola e ingrossamento dei linfonodi. Per non parlare delle gravi complicazioni che possono insorgere in caso di reiterazione della mancata cura, come osteomielite, trombosi del seno cavernoso, setticemia.

Qui trovi tutti gli approfondimenti sulle malattie dei denti

Le cause dell’ascesso parodontale

Passando ad analizzare le cause dell’ascesso parodontale non si può non sottolineare come la principale ragione scatenante sia una scasa igiene orale. Lavare poco e male i denti e non tenere sufficientemente pulita la bocca, infatti, fa proliferare placca e tartaro, dove si annidano i batteri che poi scatenano le infezioni.

Altre situazioni che possono portare alla formazione di un ascesso sono gli interventi di chirurgia dentale mal riusciti (come devitalizzazioni o estrazioni), le carie, la parodontite e la presenza di denti rotti o scheggiati e non riparati.

Infine, è bene menzionare tutta una serie di condizioni e patologie che costituiscono dei fattori di rischio, come diabete, reflusso gastroesofageo, AIDS, eccessivo consumo di alcol e di fumo, terapie di lungo periodo a base di corticosteroidi.

Ecco come lavare bene i denti

Cure e terapie contro l’ascesso parodontale: tutti i possibili rimedi

Come detto, di fronte ad un ascesso parodontale non si può fare altro che rivolgersi al proprio dentista di fiducia per intraprendere una cura specifica. Bisogna aver ben chiaro, infatti, che l’ascesso non passa da solo e temporeggiare significa solo esporsi a gravi rischi per la salute dentale (e non solo).

Il primo rimedio contro l’ascesso parodontale è rappresentato dalla somministrazione di antibiotici, per controllare l’infezione, e di antidolorifici, per diminuire il dolore. Entrambe queste tipologie di farmaci, però, intervengono sui sintomi, alleviandoli, ma non eliminano alla radice la causa dell’ascesso. Per quello, è necessario un intervento ad hoc, diverso a seconda di quale sia l’origine del disturbo. Ad esempio, se si tratta di una carie trascurata, bisognerà curarla con apposita otturazione. Invece, se ci si trova di fronte alla degenerazione di una malattia parodontale bisognerà procedere diversamente.

Curare l’ascesso parodontale con rimedi naturali: una pessima idea

Di sicuro, però, quello che non bisogna mai fare è affidarsi a metodi fai da te per la cura dell’ascesso, anche se sono spacciati per miracolosi segreti della nonna o miracolosi rimedi naturali. In giro si sente un po’ di tutto sul tema, da chi consiglia di “bucare” l’ascesso per far fuoriuscire il pus a chi suggerisce risciacqui con acqua e sale o acqua ossigenata. Nulla di tutto questo può essere considerato efficace. Anzi, sono tutti escamotage che fanno solo perdere tempo prezioso e espongono al rischio di complicanze.

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stripping denti

Stripping dentale (IPR), cos’è e a cosa serve la tecnica di limatura dei denti in odontoiatria

Lo stripping dei denti, detto anche IPR (riduzione interprossimale), è una tecnica utilizzata in odontoiatria che prevede il ricorso a una leggera limatura della dentatura con lo scopo di risolvere i problemi di affollamento dentale. Vediamo cos’è nello specifico lo stripping, come funziona e quando viene usato.

La mancanza di spazio nell’arcata dentale per poter accogliere tutti i denti (il cosiddetto affollamento dentale) è uno dei problemi più comuni che i dentisti devono affrontare quando si decide di mettere l’apparecchio e avviare un percorso di ortodonzia. Ma come si fa a creare spazio dove non c’è? Se il problema dei denti storti viene affrontato sul nascere, cioè su pazienti che si trovano ancora nell’età dello sviluppo (ortodonzia intercettiva), tutto è più semplice, perché si può agire per allargare il palato e le arcate dentali. Negli adulti, invece, il discorso è diverso, perché la dimensione della bocca è ormai cristallizzata. Nei casi più gravi, quindi, si dovrà necessariamente procedere all’estrazione di uno o più denti, per fare spazio agli altri. Altrimenti, se la situazione non è così allarmante, lo stripping può essere un valido alleato. Vediamo di cosa si tratta in questo sintetico approfondimento.

Cos’è e a cosa serve in ortodonzia lo stripping dentale

Dal punto di vista operativo, lo stripping dentale è una tecnica di limatura dei denti che permette di ridurne la larghezza. Il dente sottoposto a stripping, infatti, viene limato lateralmente, ed è per questo che è anche chiamato con la sigla IPR, acronimo inglese che in italiano si traduce con riduzione inter-prossimale.  Con lo stripping sui va a toccare solo lo smalto ed è possibile ridurre la dimensione del dente anche di 0,5 millimetri. Una misura che può sembrare insignificante ma che in realtà, soprattutto se applicata a più di un dente della stessa arcata, consente di guadagnare molto spazio. Ed è proprio a questo che serve lo stripping: rimpicciolire il dente e guadagnare spazio. Il tutto, nell’ottica di un complessivo piano di ortodonzia che punta a riallineare denti storti. Sotto il profilo operativo, la limatura dello stripping può avvenire manualmente, a mezzo di carta abrasiva o lima, oppure meccanicamente, utilizzando una specifica presa. In tutti i casi, viene comunque garantita la protezione delle gengive.

Leggi di più sull’ortodonzia per adulti

Quando si usa lo stripping dei denti: invisalign e apparecchio tradizionale

Come anticipato, lo stripping è una tecnica utilizzata in ortodonzia per fare spazio ai denti, la cui adozione è rimessa alla totale discrezione del medico. Ad esempio, si fa ricorso alla riduzione inter-prossimale in caso di incisivi sporgenti o di affollamento dentale di bassa o media gravità. La tecnica può essere utilizzata indifferentemente sia quando si sceglie poi di procedere con un apparecchio per denti tradizionale o linguale, sia quando si opta per invisalign, ovvero l’apparecchio trasparente. Al di fuori dell’ortodonzia, lo stripping è utilizzato anche quando è necessario rimuovere gli spazi neri tra un dente e l’altro in un paziente che ha sofferto di parodontite.

4 domande utili sullo stripping ai denti

Di seguito, sono raccolte le quattro domande più frequenti che i pazienti rivolgono al loro dentista di fiducia e che riguardano lo stripping dentale.

L’IPR è una procedura che dà dolore?

No, lo stripping dentale non fa male e non dà dolore perché non va a toccare i tessuti molli o il nervo che alimenta il dente.

Quali sono i pro e i contro dello stripping dentale?

I pro dello stripping sono legati ai risultati che consente di raggiungere, cioè creare lo spazio per poi raddrizzare i denti, migliorando sia l’estetica che la funzionalità della bocca. I contro, invece, non sussistono qualora ci si affidi a un odontoiatra esperto, capace di svolgere l’operazione con attenzione. In caso contrario, infatti, i rischi dello stripping sono legati ad un eccesso di limatura, che può intaccare la dentina sottostante lo smalto o andare a creare uno spazio eccessivo tra i denti, con tutti i problemi che ne conseguono.

Ci sono controindicazioni allo stripping?

Sono poche le casistiche che impediscono l’esecuzione dello stripping dei denti. Tra queste, ci sono la presenza di corone, ponti o protesi dentali, la carenza di smalto e l’ipersensibilità dentale.

Quanto costa lo stripping?

Facendo parte di un programma più ampio di ortodonzia e dipendendo dalla situazione di partenza, lo stripping non ha un costo a sé stante e che può essere predeterminato in astratto. Il prezzo rientra in quello generale del piano di cura ortodontico.

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ascesso gengivale

Ascesso gengivale, come curarlo per non avere problemi

L’ascesso gengivale è un’infezione batterica che colpisce le gengive e si manifesta con sacche di pus, gonfiore, arrossamento e dolore. La cura principale consiste in una terapia antibiotica, sotto controllo medico. Prima, però, è bene capire cos’è precisamente un asceso alle gengive, quali sono i sintomi e le cause e come fare per sgonfiarlo e lenire il dolore.

Sorridere allo specchio e scoprire di avere una bolla di pus sulle gengive non è certo una cosa piacevole. In primo luogo, perché l’ascesso gengivale (così si chiama questo disturbo) è davvero fastidioso, visto che causa dolore, gonfiore, arrossamento e tutto un ampio corollario di sintomi spiacevoli. E poi perché è necessario sottoporsi tempestivamente a delle cure specifiche, per evitare di veder peggiorare la situazione. Fortunatamente, l’ascesso gengivale è un problema di salute orale tanto comune quanto risolvibile, sempre che venga trattato appena si manifesta. Per farlo, però, è necessario conoscerlo bene e rivolgersi al proprio dentista di fiducia. In questo articolo, alcune informazioni pratiche per capire quando si è in presenza di un ascesso gengivale e cosa bisogna fare.

Cos’è l’ascesso gengivale

Da un punto di vista strettamente medico, l’ascesso gengivale consiste nella formazione di una sacca di pus (quindi un agglomerato di batteri, globuli bianchi, plasma e detriti cellulari) sui tessuti della gengiva. È quindi un’infezione e rappresenta la variante meno preoccupante dell’ascesso dentale, che conosce anche forme più aggressive, come l’ascesso parodontale (che colpisce l’intero parodonto) e quello periapicale (che interessa anche la polpa dentaria).

Sintomi e diagnosi dell’ascesso alle gengive

Il fatto che l’ascesso gengivale possa degenerare e creare problemi molto più gravi a tutta la bocca (denti e gengive) rende fondamentale arrivare a una diagnosi precoce, che si può ottenere se si presta attenzione alla sintomatologia di questo disturbo. Tra i sintomi dell’ascesso gengivale più frequenti ci sono:

Perché viene l’ascesso gengivale: tutte le possibili cause

All’origine di un ascesso gengivale c’è sempre e comunque un’infezione batterica. È il proliferare dei batteri, infatti, a dare vita alla sacca purulenta che attacca le gengive. Quello che ci si può chiedere, però, è quale sia la causa di questa infezione. Le possibilità sono molteplici:

  • cattiva igiene orale: è la ragione più frequente, perché lavare poco e male i denti, lasciando residui di cibo tra uno e l’altro, provoca un aumento della placca e del tartaro, che altro non sono che depositi di batteri pronti ad aggredire le gengive;
  • infiammazioni o gengiviti: patologie distinte e con una propria origine, ma che possono sfociare in ascesso;
  • malattie parodontali;
  • interventi di chirurgia dentale con complicanze post-operatorie.

Ci sono poi dei fattori di rischio che aumentano le possibilità di soffrire di ascesso gengivale, come l’età, l’abuso di cibi zuccherini, il fumo, il consumo di alcol, le protesi dentali.

Ecco perché fumare fa male a denti

Cosa fare in caso di ascesso gengivale: prevenzione e cura per farlo sgonfiare

Come detto, conoscere natura, cause e soprattutto sintomi dell’ascesso gengivale è utile al fine di una diagnosi precoce, che può essere fatta da un dentista attraverso un esame obiettivo (e al limite con l’ausilio di una radiografia). Però, la cosa che davvero interessa chi soffre per i dolori di un ascesso è capire come risolvere. Su questo tema, la prima cosa da dire con chiarezza è che l’ascesso gengivale non guarisce da solo. E non è una buona idea neanche farlo “scoppiare” per eliminare le secrezioni. Trattandosi di un’infezione batterica, la scelta attendista non è una buona idea. Anzi, bisogna agire subito, per evitare peggioramenti e complicazioni. Così come è una pessima idea affidarsi ai rimedi della nonna o a improbabili soluzioni fai da te, magari lette online.

Il protocollo di cura di un ascesso gengivale prevede innanzitutto l’assunzione di antibiotici per alcuni giorni, in modo da contrastare l’azione dei batteri. Nei casi di secrezioni molto estese, il dentista può anche scegliere di procedere con il drenaggio dell’ascesso. Parallelamente, in presenza di dolori molto forti, si può procedere con dei farmaci analgesici e con degli accorgimenti pratici, come evitare cibi troppo caldi o troppo freddi e utilizzare uno spazzolino con setole morbide.

Una volta risolta l’infezione, poi, è bene affrontare alla radice il problema che l’ha scatenata, per evitare che l’ascesso gengivale si ripresenti. In questo caso, le soluzioni dipendono dal problema che c’è a monte. Un elemento fondamentale che ritorna, però, è quello della corretta igiene orale, che significa:

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Breve guida alla scoperta del colore dei denti

Qual è il colore naturale dei denti? Da cosa dipende? Perché può cambiare nel corso del tempo? Tre domande a cui spesso si danno risposte non corrette o banali. Eppure, la colorazione della dentatura è uno degli elementi fondamentali di un sorriso splendente. Un argomento che merita di essere conosciuto meglio.

Il colore dei denti è uno degli elementi chiave per rendere un sorriso bello e affascinante. Eppure, è anche un tema davvero poco conosciuto e su cui spesso si hanno convinzioni non proprio veritiere. Il fatto è che spesso la colorazione dei denti viene data per scontata, mentre non lo è affatto. Ad esempio, in pochi sanno rispondere in modo esatto alle tre semplici domande che compongono questo articolo:

  • Qual è il colore naturale dei denti?
  • Da cosa dipende la colorazione dei denti?
  • Quando e perché i denti possono cambiare colore?

Qual è il colore naturale dei denti?

Quando si pensa al colore dei denti, la prima tonalità che viene in mente è il bianco. Una risposta ovvia, quasi banale ma che in realtà non è proprio corretta. Solo i denti decidui dei bambini, infatti, sono davvero bianchi. La dentatura adulta, invece, tende ad essere più vicina all’avorio, cioè ad una via di mezzo tra bianco e giallo. Ma anche così, la generalizzazione è eccessiva, perché il colore dei denti è molto personale: ognuno ha il suo, con sfumature che possono spaziare dal marrone-rosso, giallo-rosso, grigio, rosso-grigio. Tanto è vero che si parla di vere e proprie scale di colori dei denti. Nel tempo, poi, a causa dell’usura o di altri fattori esterni e interni, il colore del sorriso può leggermente cambiare. Per un dentista, identificare esattamente il colore dei denti di un paziente è molto importante, soprattutto quando lavora ad un restauro in ceramica o a un impianto. Infatti, per evitare che l’intervento sia visibile e creai un fastidioso inestetismo, è necessario riprodurre esattamente il colore dei denti naturali, in modo che non si noti la differenza.

colore denti

Cosa dà colore ai denti?

L’altra domanda che crea molta confusione è quella sull’origine del colore de denti. In molti, infatti, sono convinti che a colorare la dentatura sia lo smalto dentale, cioè lo strato più superficiale, ma non è così. La responsabile della colorazione, invece, è la dentina, che costituisce il corpo del dente e si trova sotto lo smalto. Quest’ultimo è responsabile solo della lucidità e della trasparenza e quindi incide sulla colorazione nella misura in cui rende più o meno visibile la dentina.

Denti gialli? Cause, prevenzione e rimedi

Quando e perché i denti possono cambiare colore?

Come già anticipato, nel corso della vita, i denti possono cambiare colore. In alcuni casi, si tratta di un semplice e leggero ingiallimento dovuto all’usura o magari a una non perfetta igiene orale. In altri casi, invece, la variazione di colorazione è più importante e dovuta a fattori esterni. Le cause principali di cambiamento del colore dei denti sono:

  • Alimentazione: alcuni cibi e bevande hanno una pigmentazione che tende ad essere assorbita dalla dentina, provocando il cambio di colorazione; è il caso, ad esempio, di caffè, vino rosso, liquirizia.
  • Assunzione di farmaci: soprattutto antibiotici, fluoro (se in dosaggio eccessivo), tetracicline e ciprofloxacina.
  • Cure dentali: è il caso, ad esempio, delle carie, la cui otturazione, se realizzata con materiale scuro, può “trasparire” dalla superficie sana del dente e conferirgli riflessi grigiastri.
  • Patologie dentali o sistemiche: tra le malattie che possono modificare il colore dei denti ci sono quelle metaboliche o fenomeni come le emorragie interne dei denti.

In alcuni casi, che il dentista può identificare previa visita di controllo, il colore naturale dei denti può essere ripristinato attraverso una seduta di pulizia dei denti professionale o di sbiancamento. Altrimenti, per ovviare ai casi più gravi, può rivelarsi utile l’applicazione delle faccette dentali, che coprono la superficie macchiata.

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ciuccio e detizione

Denti e ciuccio: consigli per genitori, tra falsi miti e necessarie accortezze

Il legame tra l’uso del ciuccio da parte dei bambini e l’insorgere d problemi come palato stretto e denti storti è già da anni oggetto di studio da parte dei dentisti. Un’attenzione che ha contribuito a creare un clima di diffidenza verso questo oggetto tanto amato dai più piccoli. In realtà, però, viste le recenti evoluzioni dei prodotti in commercio, il ciuccio non deve più essere visto dai genitori come un pericolo, purché si seguano determinate accortezze.

La prima visita dal dentista

Il ciuccio, si sa, è uno dei migliori amici dei bambini, almeno nei primissimi mesi di vita. D’altronde, la suzione non nutritiva (quindi diversa da quella che il neonato attua quando prende il latte dal seno materno o dal biberon) svolge un ruolo fondamentale nella crescita del bambino, perché rappresenta una coccola importantissima, un momento calmante, visto che stimola la produzione di serotonina, l’ormone della felicità. Ecco perché i bambini piccoli desiderano succhiare, sia che si tratti del ciuccio o del loro pollice. Allo stesso tempo, però, questo istintivo gesto del succhiare è coinvolto anche nello sviluppo delle ossa della bocca e del cranio. Da qui, la necessità per i genitori di adottare alcune accortezze, onde evitare che il bambino sviluppi problemi odontoiatrici (e non solo).

Tutti gli articoli sui denti dei bambini

Il collegamento tra ciuccio, palato stretto e denti storti

I difetti dentali più comuni che possono scaturire da cattive abitudini legate al ciuccio sono: palato stretto, denti storti, malocclusioni e deglutizione atipica. Spesso, alcuni di questi disturbi si presentano insieme, perché strettamente connessi. Ad esempio, il palato stretto comporta denti storti a causa di sovraffollamento. A loro volta, però, i denti storti possono essere all’origine di una malocclusione, che può generare deglutizione atipica. Tutti questi problemi che possono verificarsi a cascata originano, però, da un epicentro comune: lo scorretto sviluppo delle ossa che viene generato da una suzione sbagliata. Mentre il bambino succhia, infatti, esercita una pressione che porta il palato ad adattarsi alla forma e alla dimensione di ciò che si sta succhiando. Questo, a lungo andare, può influenzare la formazione delle ossa della mandibola e del cranio.

Leggi anche: il calendario della dentizione

Come scegliere il ciuccio giusto e come utilizzarlo

Il fatto che la medicina abbia compreso il legame che c’è tra sviluppo delle ossa del cranio, conformazione della dentatura e suzione dei bambini ha permesso alle aziende produttrici di ciucci di elaborare dei prodotti particolari, capaci di superare le criticità e di non creare danni allo sviluppo dei denti. Non tutti i ciucci per bambini, quindi, sono uguali, ed i genitori devono prestare un po’ di attenzione a quale scelgono. In particolare, bisogna adeguare il ciuccio alla crescita fisica del bambino, evitando di fargliene succhiare uno troppo piccolo. In questo caso, infatti, il palato tenderà a adattarsi alla misura e quindi a “stringersi”. Mese dopo mese, quindi, il ciuccio va cambiato, in modo che sia sempre un po’ più grande del palato.

Una volta acquistato il cuccio giusto, però, bisogna anche utilizzarlo in maniera adeguata. Come già detto, per il bambino la suzione senza nutrimento non è un vizio, come spesso si pensa, ma una necessità. Quindi, imporre drasticamente ad un neonato un uso solo sporadico del ciuccio è sbagliato, perché lo priva inutilmente di un’attenzione che gli infondo tranquillità. Il ciuccio, quindi, nei primi mesi di vita, può essere dato liberamente, di giorno e di notte. È verso i due anni che bisogna cominciare a rallentarne l’uso, cercando di interromperlo del tutto intorno ai tre anni. Ovviamente, vanno completamente dimenticate, invece, altre cattive abitudini connesse con il ciuccio, come quella di cospargerlo di miele o di zucchero per aumentarne l’effetto calmante sul bambino. In questo caso, l’insorgere della cosiddetta sindrome da biberon e il rischio che si carino i denti da latte è altissimo.

Come insegnare ai bambini a lavarsi i denti